È arrivato il nuovo gioco di Donald X. Vaccarino, sì proprio lui, l’autore che con Dominion ha portato il deckbuilding in cima al Monte Divertimento e poi l’ha spinto di sotto, dove oggi vive tra i resti di espansioni e cloni malconci.

In compenso ha rinvigorito il tema del trivia “plagio o omaggio?”.

Bene, ora il simpatico Donald ha deciso di sperimentare, provando qualcosa di piuttosto nuovo: Moon Colony Bloodbath, un deckbuilding in cui il mazzo da costruire è quello condiviso degli eventi, e in cui lo scopo è morire meno peggio degli altri.

Penserete che sia una meccanica piacevole trasformata in un’attività penosa, ma in realtà avete ragione.

Non che far penare i giocatori fino alla morte sia poi questa novità, ma illuderli di stare facendo qualcosa di costruttivo nel frattempo è quel tocco di perfidia che lo distingue.

E siccome Donald oltre che simpatico è anche un bravo ragazzo, a dispetto di cosa ne dicano i giocatori di Moon Colony Bloodbath, ha chiesto all’illustratore Franz Vohwinkel che questa sofferenza trasparisse già dalla copertina.

Un po’ come nei film dell’orrore, ma vietato ai minori, ai maggiori, e borderline con i contenuti razziali.

Vohwinkel ha già lavorato con Vaccarino in Dominion, ma ha anche illustrato Puerto Rico, Amun-Re e altri giochi quasi razzisti, scampati alla censura per lo più per la difficoltà nel guardarli.
È uno di quei personaggi tedeschi che quando dice “ci vediamo a Norimberga” non sai mai se sia un appuntamento con te o con la storia.
Una carriera eccezionale quindi, ma che con Moon Colony ha segnato uno standard.
La mamma, intervistata ha dichiarato: “Franz chi?”.

Tornando al gioco, possiamo dire che si tratta del classico bullo: brutto e cattivo, ma fa ridere.

Una specie di party game che fa urlare “oh no!”, come in una pubblicità anni ’80, da quando vedi la scatola sullo scaffale a quando finisci la partita, mischiando in un crescente mazzo di sfighe le quattro azioni concesse ai giocatori.

Ci sono quattro risorse e un intero mazzo di costruzioni da realizzare, come in un gioco vero, ma la “reductio a culus” è forte come la risposta di Vaccarino alle accuse di aver fatto un gioco sperimentale più per il gusto di farlo che pensando al pubblico che lo avrebbe giocato:

Inoltre a metà partita avrete già la sensazione di vedere chiaramente l’esito, ma dovrete letteralmente agonizzare per raggiungere la fine.

In somma il gioco è un’esperienza, non è detto che sia piacevole, non è detto che vogliate ripeterla, e vi inganna come gocce di cioccolato che si rivelano uvette. Ma forse proprio per questo vorrete farlo provare all’amico che si diverte con “tira il dito”.

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