“Ma non era meglio se ti portavi dietro l’insegnante di sostegno?” – mi risponde con un tono che se non fossero solo parole mi avrebbe tagliato la faccia – “Secondo te, graziose braccine strappate all’eroina, per chi diavolo scrivevo? Scrivevo principalmente per quello che poi si è rivelato essere, e continua ad essere, il problema principale di questo settore.”

Le sue mani stringono i braccioli come artigli, l’occhio rosso pulsa come un rash cutaneo, la gola si gonfia pronta a scaricarmi addosso un bidone per il compostaggio pieno di insulti e merda di cane. Mi accuccio istintivamente dietro alla sedia.

“Il problema siamo noi, esasperante riunione condominiale di problemi cognitivi. Noi giocatori. Noi giocatori che ci pesa il culo aprire un libro, ma ci auto-convinciamo di essere ‘esperti’, come se farsi quattro seghe al giorno ci rendesse andrologi. Siamo ostili, elitisti, pensiamo di conoscere il modo giusto di giocare, pensiamo che i nostri gusti siano sovrapponibili al concetto di bellezza ideale. Ci lamentiamo che non escono giochi in italiano, ma compriamo i giochi su Amazon in filippino e scarichiamo le regole tradotte da google, per poi mettergli 2 su BGG perché le regole erano scritte male. Pensiamo che gli editori siano tutti ladri, pensiamo di saperne più degli autori, ma poi ci facciamo andare bene qualsiasi minchiata venga detta o scritta, purché sia rassicurante o ci stia dando ragione.”

Rimango dietro alla sedia. Al momento non mi sembra sicuro uscire dal mio seppur precario riparo.
Lo lascio continuare, magari si sfoga e decide di non farmi fare la fine dei coniglietti di Dixit che ho visto nel camino.

“Piccolo bignè farcito di cazzate che non sei altro, ti pare che io debba perdere tempo a scrivere qualcosa per gente che sputa odio nel piatto in cui mangia, che si ammanta di nazionalismo becero e poi tifa per le multinazionali, che non sa un cazzo ma pensa di sapere tutto e che comunque di quello che ho appena detto avrà capito solo ‘cazzo’? Hai mai fatto un giro nei gruppi dedicati al gioco da tavolo? Persone che nel 2025 ancora pensano che esistano ‘giochi per maschi’ e ‘giochi per femmine’, genitori che si vantano di giocare in famiglia chiamando i figli ‘adolescemi’, piccoli banchi dei pegni di carne che si fanno firmare le scatole dagli autori per rivenderle a due euro in più come se potessero convertirli in punti vittoria nella vita vera… esseri intolleranti e disgustosi, che invitano le persone che insultano a farsi una risata ma poi sbroccano male quando gli fai notare che sono – adeguando il linguaggio al contesto moderno – diversamente normopeso, mentalmente senior, cognitivamente amenorroici, o banalmente stronzi.”

Se va avanti così, di me e della sedia che mi ripara rimarrà solo una macchia sul muro, una macabra cartolina in bianco e nero con scritto “saluti da Nagasaki”.

“Ho smesso di scrivere perché non mi va di parlare a gente che ha la stessa durezza e la stessa utilità di un rotolo di carta igienica di marmo. Ho smesso di scrivere perché sono un incompetente bilioso, e non c’è bisogno né di altra incompetenza, né di altra bile. Al di là di tutto quello che non va in questo settore, a tenere il freno a mano tirato non sono gli editori improvvisati, o gli autori che sono impiegati del catasto di giorno e ‘game designer’ di notte, o la folla di egomaniaci che campa di like e scatole omaggio, o le associazioni che s’illudono di divulgare qualcosa senza sapere che per divulgare qualcosa bisognerebbe perlomeno averlo capito. Siamo proprio noi, noi che viviamo la vita in piedi sul picco di Monte Dunning-Kruger, convinti di sapere tutto pur non sapendo una sega nulla, convinti che un account social ci dia il diritto non solo di giudicare, ma anche di sminuire e insultare il lavoro, i gusti, la vita altrui. Paladini di stocazzo, eroi senza macchia né paura da dietro un monitor, che magari poi nel privato gioiscono se affonda un barcone di migranti, o che se ne sbattono la minchia se per avere giochi a prezzi decenti si deve produrre in paesi dove lo stipendio medio è 200 euro al mese, o che se c’è una crisi del settore cercano solo modi per approfittarsi di chi è sul punto di fallire. Io sono una merda, caro il mio scribacchino di staceppa, e se inietti merda dentro altra merda è solo omeopatia.”

EPILOGO

Sono seduto nel letto 5 del pronto soccorso dell’Ospedale Sant’Andrea di Massa Marittima. Ho la mente annebbiata e una vistosa fasciatura mi ricopre metà faccia. Ricordo di aver risposto “…quindi una medicina?”, poi l’ultima immagine di cui ho memoria è una scatola di Frosthaven che compie una traiettoria lineare verso il mio naso. Una dottoressa sbrigativa ma gentile mi ha detto che la prognosi è di una quindicina di giorni, per fortuna non ci sono fratture.

L’infermiere che mi ha raccolto ha detto che un carro funebre degli anni ‘70 si è fermato davanti all’ospedale e mi ha lasciato lì come se fossi un pacco consegnato da un corriere, cioè lanciandomi oltre la recinzione.

Di quest’esperienza mi è rimasta più che altro la confusione, oltre alla contusione, perché quando sono tornato sulla collina la casa nera non c’era più, c’era solo un vecchio agricoltore che dava da mangiare a quattro galline spennacchiate, vicino a un capanno del tutto ordinario.
In ogni caso devo finire il lavoro, quindi ho provato a chiedere informazioni.

“Scusi, ma non vive qui Mr. Black Pawn?”Il vecchio si è messo a ridacchiare.
“Figliolo, Mr. Black Pawn è una leggenda, una metafora, un’allegoria.
Siamo tutti Mr. Black Pawn.”

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