Un’intervista in quattro parti quasi vera, di Albino Pedina
Disclaimer: Ogni riferimento a persone o fatti realmente accaduti è seppur di poco puramente casuale.
Nessun gamer, distributor, publisher, designer, developer, photoreporter, marketer, blogger, infotainer, journalaier, youtuber, onlyfanner, pornhubber è stato realmente maltrattato, a differenza della lingua italiana sul web e in particolare su questo sito.
PARTE III – DEFCON ZERO
Sarà il fastidio per il fumo, sarà perché il suo tono inizia davvero ad irritarmi, ma provo ad incalzarlo: “Ma il settore è in crescita da anni!”
Mr. Black Pawn ride sguaiatamente e tossisce e sputa qualcosa di marrone e morto dentro una scatola aperta di Parsec.
“Hai parlato?” – chiede – “Perché mi è sembrato di sentire una minchiata. Ma magari sono io, ogni tanto sento le voci, e mediamente sono voci di gente che crede nella trickle down economy, che è un modo molto carino per non usare parole che nel 2025 non si possono più dire. Non posso negarlo: come mondo ludico stiamo, effettivamente, una crema. Pasta Fissan, per la precisione. L’apocalisse doganale rischia di far costare un gioco più di un razzo di Musk, e rendere la vita di alcuni editori più breve di quella del razzo di cui sopra, ma almeno ci sono le grandi aziende! Certo, CMON è in perdita e ha licenziato tutti i team creativi, Inside The Box Board Games è più morta della carriera di Kevin Spacey, Steve Jackson Games scrive i comunicati stampa con le lacrime, Mythic Games e Final Frontier stanno insegnando agli angeli come andare in bancarotta, Funko Games stampa le statuette in PDF e le novità sui progetti Kickstarter arrivano tramite la newsletter di Taffo, ma almeno possiamo assistere a un bellissimo LARP, su larga scala, di un survival horror.”
Da aspirante giornalista ludico non riesco a trattenermi: “ma non è vero, se fosse tutto così disastroso lo verremmo a sapere!”
“Hai mai pensato di darti alla stand-up?” risponde tagliente il Pedone Nero. “E in che modo lo verremmo a sapere, per l’inferno? In un mondo ideale, a raccontarci queste storture ci sarebbero critici, analisti e giornalisti ludici. Nel nostro mondo invece ci sono dopolavoristi appassionati, sottocuochi giocosi, blogmanzieri narrattivisti, doppiosensisti vanziniani, fornari smanettoni, divulgatori a minutaggio limitato, baloccofamiglie, ma soprattutto recensori! Recensori che scrivono tante, tantissime recensioni, recensioni identiche fra loro e identiche a quelle di vent’anni fa: sono tutte composte da un riassuntone del regolamento, una lista di impressioni – pardon, di pregi – e qualche considerazione scontata. Se è un party game si usano le parole ‘divertente’ e ‘caciarone’, e si fa notare che spesso è la compagnia a fare la differenza. Se è un gioco complesso, si menzioneranno a sproposito mammiferi artiodattili della famiglia dei suidi e si chioserà specificando che il gioco ‘non è per tutti’, anche nei casi in cui in realtà è solo per sociopatici. Se il gioco è proprio una merda senza appello, invece, si utilizzerà l’arma definitiva, il defcon zero della recensione, ossia si darà un voto negativo, tipo 7, o addirittura 6 e mezzo, ma solo se il recensore non conosce l’autore di persona.”
Rimango leggermente stordito nel riconoscere almeno tre-quattro espressioni che ho effettivamente letto o addirittura utilizzato in articoli recenti, ma Mr. Black Pawn non sembra aver ancora finito.
“Leggere o guardare una recensione, oggi come allora, è come lavarsi i denti con la merda: spiacevole e fondamentalmente inutile. In pratica è rimasto più o meno tutto come un tempo: gli ‘influencer’ più svegli fanno marchette, ma con grazia, mentre i meno svegli le fanno gratis. Dopo tutto questi ultimi lo fanno solo per passione e sono in qualche modo stati scelti dal destino, e non da un ventiduenne che ha pensato ‘3k follower, engagement meh, conversion irrisoria, budget zero’.
L’importante è che il gioco non diventi politico, che non si parli di crisi, di licenziamenti, di ambiente.Se un recensore ludico recensisse il pianeta Terra oggi, probabilmente lo farebbe così: “Ottimo falso cooperativo, basato su evidenti squilibri nelle condizioni di inizio partita (etnia, genere, classe sociale e mappa iniziale tendono ad essere determinanti). Tensione alle stelle, tantissima interazione diretta soprattutto nella zona est della mappa, le cose negli ultimi round si fanno sempre un po’ calde, la scatola tende, sul finale di partita, a prendere fuoco. Peraltro, ragazzo, quanto hai detto che ti pagano per rompermi le palle?”
“Siamo un blog amatoriale, nessuno viene pagato.”
“Diavolo, se si vede! Non è cambiato granché, anche ai miei tempi la scusa per fare le cose di merda era ‘lo faccio per passione’ e ‘ma io non prendo soldi’. Se avessi una macchina del tempo non andrei a uccidere Hitler o a bruciare i manoscritti di Harry Potter, andrei a picchiare selvaggiamente il primo che ha scritto una recensione in cambio di una scatola e una pacca sulla spalla. Il giorno che ci sarà una testata giornalistica ludica con abbastanza palle da parlare del settore come se fosse un settore vero e non un parco giochi tematico in cui tutto è zuccheroso e in cui si sorvola sul fatto che i paperi si accoppiano fra consanguinei e che i cavalli si scopano le mucche, il giorno in cui una testata giornalistica ludica parlerà di posti di lavoro, di temi controversi e di tutto quello che non funziona, ecco, quel giorno finalmente avremo una testata giornalistica ludica.”
Guardo il taccuino su cui sto prendendo appunti.
Mi chiedo cosa sto facendo, mentre nella stanza l’assenza di rumore rimbomba come un “servito” durante un’ultima mano di poker.





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