[Il Puzzillo]
| Beccati questa, Monnalisa. |
Appena rientrato da Ludicomix, fiera empolese tanto lunare quanto utile, e non avendo trovato concetti abbastanza grandi con cui paragonare la noia da tale evento generata, altro non mi è rimasto che ripiegare su quella PLAY 2013 che speravo di aver evitato grazie all’apparentemente esaustiva analisi di Mr Black Pawn.
Già, PLAY 2013, una cosa che a un occhio distratto potrebbe far domandare “sì, va be’, ma non c’era già PLAY 2012?”.
Un occhio più attento invece avrebbe meno dubbi nell’affermare “oh, sì, va be’, ma c’era già PLAY 2012.”.
Ora, a parte l’immagine dell’occhio pigro che dialoga con quello attento, ed escludendo il fatto che entrambi erano a PLAY, e che quindi anche quello attento tutto sommato tanto sveglio non dev’esserlo, qualche motivo per non riciclare paro paro il resoconto dello scorso anno, alla fine, l’ho trovato.
E no, non è solo per i nuovi ristoranti in città.
La fiera si allarga di anno in anno, rendendo sempre più evidente il vuoto nei padiglioni. Ma mentre nel padiglione dedicato ai giochi da tavolo l’excusatio non petita si manifesta negli ampi corridoi, che rendono agevole il passaggio “a distanza di sicurezza” dai tavoli da gioco delle diverse aree, negli altri padiglioni l’effetto “quando arrivano con la roba?” è abbastanza corposo, per usare un termine improprio.
Il padiglione dedicato ai bambini, o meglio alle loro famiglie, vede, in ordine rigorosamente sparso, stand LEGO (e ci mancherebbe altro), tavoli di scacchi, giochi da strada, peluche, accampamenti jedi, tavoli di dama e uno spazio dedicato al “Ruzzle Live”. Se mi sono dimenticato qualcosa è perché davvero non valeva la pena di essere visto e, considerando ciò che invece mi sono ricordato, direi che se state tentando di strapparvi attraverso le narici la parte di cervello dedicata all’immaginazione, avete afferrato il punto.
| Indovinate qui in che zona siamo. |
Ancora.
Un piccolo padiglione, che per intenderci chiameremo “disimpegno”, presenta uno spazio in cui s’impegnano i visitatori a nulla.
Cosa?
Credevo ci fossimo già intesi con “disimpegno”.
Passato questo spazio dall’impatto tipico della mosca sul vetro, visto dalla parte del vetro, si giunge nel padiglione “BAR e TETTE”, già noto precedentemente come padiglione “PC con BAGNO”. Essendo il meno frequentato a causa dello spettacolare allestimento della sbalorditiva accozzaglia di cianfrusaglie ivi presenti, la sua funzione diviene quella di “angolo magico” per la tipologia esplorativa di visitatore, ossia quello tanto curioso da giungere fin nei meandri della noia per scoprire quegli angoli di fiera talmente poco frequentati da permettere l’acquisto di una Redbull e una sgrullatina in tempi che il diritto internazionale ritenga entro i limiti della convenzione di Ginevra.
In questo padiglione, nelle intenzioni degli organizzatori, dovrebbe esplodere la magnificenza dell’elemento più spettacolare e dirompente dell’ambito ludico: i meravigliosi videogiochi.
Detto fatto: una decina di PC in area chiusa con una decina di sfigati ai quali le rispettive mamme hanno detto “vai a giocare fuori”, ed eccoli lì, amori di mamma.
Diamine, non fare spettacolo con i videogiochi è come dare fuoco a una piscina.
Non è il perché, ma il “come cazzo”.
In allestimento il dubbio sale, nel padiglione viene montata anche una pista di automobiline, così, ad minchiam.
In quel momento il genio.
L’idea estemporanea diventa ruolo, il padiglione prende finalmente un tema e guadagna: un accampamento napoleonico, un palco per le esibizioni di cosplay, due teepee, una truccatrice di facce, una bancarella di stronzatine, gente mascherata da vampiri in numero insufficiente a giustificare lo spazio dedicato e un simulatore di formula uno.
Il pubblico continua ad intrattenersi con l’economica sartoria manga femminile mentre sorseggia una Redbull al bar.
Comunque un successo.
| “‘sti piezz’emm…” purtroppo non siamo ferrati in francese, né in storia, né in geografia, etc etc. |
Ovunque wargame, sparsi in ogni padiglione tasselli con miriadi di statistiche o miniature perfettamente dipinte, decine di tavoli ricolmi del gioco “veramente storicamente accurato non come quello del tavolo accanto”, a partire da Warhammer 40K, che per altro è l’unico a tenere la media dei giocatori di poco sotto ai 65 anni. Sembra quasi di vedere il calcio balilla, ma giocato dai protagonisti.
Ai piani superiori Lasertag e lavatoio.
Così arricchiti torniamo quindi al padiglione centrale, ossia la fiera di giochi. Quella, dicevamo, con i corridoi atti a sopportare le numerose sfilate di ogni genere di cosplay, dall’intramontabile napoleonico all’inevitabile giapponesatadabimbiminkia, dall’onnipresente fantasyacazzo al tradizionale starwarsiano, con le recenti aggiunte e varianti di troni di spazzole, cyberimpuniti e steampacchi.
Come ormai di consueto gli editori si stagliano ai confini quasi come fosse un’animale possesso territoriale, ognuno arricchendo a modo suo l’area di dominio.
Giochi Uniti porta tutto, quasi monopolizza il fantasy e se la passa ancora bene con Fantasy Flight. Magari tradurranno molto in ritardo le espansioni dei giochi, magari le tradurranno male, magari non le tradurranno proprio, ma oh, già vi fanno il favore di venire.
Raven c’ha Munchkin, poi boh.
La Cranio presenta la versione gigante di Dungeon Fighter, dopo l’accordo mancato con un’associazione romana per una versione “fieristica” del gioco, i giovani editori pensano che sia una buona idea proporlo in versione estesa, con il risultato di giocatori che lanciano dadi di gommapiuma e sorridono con la consapevolezza di un maori di fronte a un simulatore di volo.
| A volte, pure se portano sempre la stessa roba, vien quasi da perdonarli. |
Asterion porta un’azzardata carrettata di titoli importati che i più comprano con lo stesso sentimento con cui si toccano le lacrime delle madonnine che piangono, anche detto “effetto ma che davero davero?”. Di questo passo, per mantenere i titoli importati “di gusto”, dovranno iniziare a distribuire Magic.
DaVinci c’ha Bang!. “e grazie al …..!” osserveranno i miei arguti lettori, ma ‘stavolta è il Bang! con i dadi, e non c’è. Arriverà. Potete provare un prototipo.
Ares non c’è, ma tanto c’è Kickstarter, tanto basta per lanciare Galaxy Defenders, il gioco che potrebbe sfondare definitivamente le porte dell’editoria ludica per tutti gli esaltati che vogliano produrre il gioco della (loro) vita in barba ad una fortezza che, almeno in Italia, nessuno ha mai veramente difeso.
Red Glove porta lo stand più grosso di tutti guadagnando per osmosi anche il bar e i bagni.
Ghenos, abbandonata in autostrada la sagoma di Fiammetta Cicogna come si farebbe d’estate con una copia di Lupin III, è in attesa di azzeccare un brand di cui interessi ancora qualcosa a qualcuno, almeno a qualcuno a cui interessi giocare. Nel dubbio importa pupazzetti pucciosissimi mascherati da gioco.
Quelli di WarAge e Ninja Shadowforged si uniscono aumentando le tette a disposizione dei passanti, cercando così un senso a quello che in altri ambiti avrebbero già definito “accanimento terapeutico”.
Dastwork è ancora autonoma, presenta il suo terzo gioco, ossia il primo prodotto professionalmente, o almeno spacciato per tale. L’autore non rimedia nemmeno il nome in copertina, ma è amico di tutti quindi il gioco fa sold out e l’editore torna a casa contribuendo allo sviluppo del mercato ludico con cifre a 6 zeri. Più meno tutti dopo la virgola.
Oliphante presenta Augustus, il nuovo gioco di Paolo Mori, il titolo per il quale Libertalia è stata solo una rincorsa. Se non fa il botto con questo, possiamo dire addio alla scuola italiana di game design.
| Evidente la convinzione nell’espressione di Emanuele Vietina durante l’ultima |
A proposito di scuola italiana di game design, siamo lieti di vederne i frutti nella Ludoteca Ideale, il più prestigioso riconoscimento modenese al gioco in scatola. Dei ben dieci giochi premiati infatti uno solo è italiano: Sheepland (già miglior gioco per famiglie al Best of Show, che è un bel dire). E no, non rompete il cactus con Tzolk’in, è edito dalla CGE, non propriamente italiana.
A proposito di BOS, una composta e massiccia presenza lucchese presenta il “nuovo” premio “Miglior Gioco Italiano dell’anno”. E’ una cosa di cui abbiamo molto discusso negli scorsi anni, soprattutto durante l’ultima edizione di Lucca Games, nuova finalità, nuova mentalità, nuovo regolamento. Be’, per ora c’è il “nuovo”, invece finalità, mentalità e regolamento sono ancora da sistemare ma vedrete che si farà, daremo anche una mano a sistemare le polemiche, che per ora sono ancora un po’ troppo tecniche.
Nella giuria ci saranno, tra gli altri, uno che scrive su ILSA e una dodicenne che scrive su Topolino. Trovo uno dei due francamente sconveniente.
| “cosa ci faccio qui?” |
A proposito di avere un nuovo approccio rispetto ai premiati e in generale alle novità, quello che davvero non si riesce ad ottenere da queste fiere (che poi è una e un quarto), è la valorizzazione della novità, lo stimolo al rinnovamento, l’attenzione allo sviluppo. certo non si può pretendere (anche se…) un “salone del gioco”, in cui vengano presentati solo i modelli nuovi con sfarzo e meraviglia, vendendo i vecchi in un padiglione a parte (che suvvia, ne avanza e come di spazio), ma ci si può almeno aspettare che i visitatori siano costretti ad inciampare nel vincitore del premio come nel nuovo prodotto, che sia il centro dell’attenzione nonché, in effetti, l’unico motivo per realizzare un’eventuale PLAY 2014.
Persino gli addetti ai lavori, ancora oggi, non son certi di quali fossero le novità (presenti più che presentate) a PLAY di quest’anno. Ora, capisco e condivido il non essere orgogliosi di certe produzioni, ma da un punto di vista dello sviluppo verso il pubblico, direi che viaggiamo come zattere di peluche.
| Comunque un’area videogiochi migliore di PLAY. |
A proposito di sviluppo invece, un salto di qualità l’ha offerto l’area conferenze, piazzata al centro del padiglione principale, accanto ai tornei di giochi da tavolo. Sedie vuote in mezzo al corridoio, un trucco per dare facce a quei disgraziati che devono fingere di credere che a qualcuno interessino cose come “il quoziente strategico” (una roba che per non dire “intelligenza, spirito d’osservazione e deduzione” chissà quanto hanno studiato), la “game experience” (tipo “divertisse”, ecco, ma spiegato in modo che un auto-produttore non possa capirlo), il “gioco dei soldi” (ossia che per giocare ci vogliono i soldi e che nei giochi ci sono i soldi, trenta secondi di concetto imbastito da 59 minuti di aneddoti di Angiolino e Chiervesio), e via così, delle cose così interessanti che ci son finito anch’io dentro, basti questo.
Al prezzo del biglietto va infine il valore aggiunto degli sconti fiera applicati da tutti gli espositori.





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